Da anni, il governo egiziano si dimostra sordo alle richieste internazionali e della società civile di implementare gli standard sui diritti umani e ratificare i trattati in materia di eguaglianza di genere e per l'eliminazione della violenza contro le donne e le minoranze di genere (GBV). È successo a Marzo 2020, quando l'Egitto ha rigettato le richieste giunte in sede della Revisione Periodica Universale del Consiglio sui Diritti Umani delle Nazioni Unite di mettere fine alla discriminazione e agli arresti basati sull'identità di genere e l'orientamento sessuale, sostenendo di "non riconoscere le suddette espressioni". È accaduto di nuovo a ottobre 2020, con il rifiuto di prendere in considerazione le richieste in materia di accountability presentate in sede della 79esima pre-sessione del Comitato per l'Eliminazione della Violenza sulle Donne da Human Rights Watch e altre importanti organizzazioni per i diritti umani.

Disuguaglianze e violenze di genere non sono soltanto tollerate, ma sembrano addirittura legittimate dalle leggi vigenti.

Nella normativa vigente ad oggi, le definizioni dei concetti come la violenza domestica, lo stupro, le molestie e la discriminazione di genere sono inesistenti o inadeguate, come denunciato dalle più importanti organizzazioni egiziane per i diritti delle donne.

Al contrario, l'esistenza di norme a tutela della moralità, che definiscono in termini estremamente vaghi e ambigui concetti come "i valori della famiglia egiziana", la "moralità pubblica", o l'"onore", permette all'autorità giudiziaria di intraprendere provvedimenti molto duri interpretando la legge in maniera estensiva e facendo rientrare nella materia le fattispecie più diverse. È il caso di Mawwada Al-Adham, influencer 22enne arrestata il 20 agosto 2020 con l'accusa di "indecenza" e "attacco ai valori della famiglia egiziana". Solo pochi giorni dopo, il 28 e 29 agosto, qualcosa di simile è accaduto a cinque testimoni nel caso Fairmont (riguardante uno stupro avvenuto al Fairmont Nice City Hotel del Cairo nell'aprile 2014). I cinque, tre donne e due uomini, sono stati inizialmente sottoposti a sparizione forzata e rilasciati alcuni giorni dopo, e due di loro hanno dichiarato di aver subito pressioni dalla polizia per ritrattare la propria testimonianza relativamente al caso Fairmont.

Un pesante giro di vite si è abbattuto su donne e ragazze attive nel mondo dello spettacolo e sui social media a partire da aprile 2020. Le influencer di TikTok Hanin Hossam, Sherifa Reefat, Noura Hisham, Menatullah Emad, Rinad Imad, Hadeer Al-Hady, Basant Mohamed, e Mawadda Al-Adham sono state arrestate, rispettivamente, il 21 aprile, il 10 giugno, il 1 luglio, il 6 luglio, il 10 luglio, il 28 agosto con accuse di "offesa alla morale" e "invito all'indecenza". Manar Samy, tiktoker la cui pagina Instagram conta circa 250mila follower, è stata arrestata il 1 luglio con l'accusa di aver diffuso contenuti "sessualmente provocanti" e condannata a 3 anni di reclusione e al pagamento di una penale di 300mila sterline egiziane. In seguito, quando la sua famiglia ha protestato contro la decisione di impedirle di vedere in carcere il figlio di soli tre anni, anche suo padre, suo fratello e sua sorella sono stati arrestati, stavolta con l'accusa di offesa a pubblico ufficiale. Anche la nota cantante e ballerina Sama el-Masry, arrestata il 29 giugno, è stata condannata per "offesa alla morale e indecenza" a scontare una pena di 3 anni di reclusione e al pagamento di 300mila sterline egiziane.

II 28 maggio 2020, la 17enne Aya (nota come Menna Abdelaziz) è stata arrestata con l'accusa di aver offeso la morale pubblica per aver postato un video nel quale denunciava lo stupro e il pestaggio subiti da un gruppo di uomini che, dopo aver filmato l'aggressione, ha cercato di ricattarla con la minaccia di pubblicare il video. È stata rilasciata e scagionata dalle accuse il 16 settembre, ma durante il periodo trascorso in carcere è stato effettuato su di lei il cosiddetto "test di verginità", un infamante strumento di intimidazione usato dalle autorità egiziane per intimorire e silenziare le donne spesso praticato sulle attiviste e sulle dissidenti politiche.

Nel corso degli ultimi anni, questo "test" è diventato una pratica diffusa nel contesto della repressione della società civile, nonostante nel 2018 sia stato definito antiscientifico e dannoso per la salute da parte dell'Organizzazione Mondiale della Sanità, e lo stesso Tribunale Amministrativo Egiziano ha condannato nel 2011 l'obbligo per le donne detenute o in custodia cautelare di sottoporsi a tali pratiche.

A partire dall'instaurazione del regime militare nel 2013, le violenze di genere e sessuali contro donne e ragazze (sia eterosessuali e cisgenere che LGBTIAQ) sono diventate parte integrante delle pratiche repressive messe in atto dalle forze armate e di polizia per schiacciare le voci della società civile. Queste pratiche sono state denunciate e analizzate da importanti organizzazioni egiziane ed internazionali per i diritti umani, fra cui International Federation for Human Rights (FIDH), con il rapporto "Stifling Egyptian Civil Society: Sexual Violence by Security Forces Surges under el-Sisi" del 2015, e le organizzazioni egiziane per i diritti delle donne Nazra for Feminist Studies (la cui attività è ferma dal 2018 a causa della progressiva criminalizzazione delle ONG) e il Center for Egyptian Women's Legal Assistance, le cui rispettive direttrici, Mozn Hassan e Azza Soleiman, dal 2015 sono tenute sotto sorveglianza speciale e private della possibilità di viaggiare fuori dal Paese.

L'attivista Amal Fathy è stata arrestata l'11 maggio 2020 con l'accusa di "diffusione di notizie false" sulla base di un video, diffuso sul suo profilo, nel quale denuncia l'inadeguatezza dell'intervento del governo contro la violenza di genere e le molestie sessuali cui le donne in Egitto sono sottoposte quotidianamente (si stima che circa 1 donna su 3 le subisca almeno una volta nel corso della vita). In seguito, è stata condannata a 2 anni di reclusione e al pagamento di una penale di 10mila sterline egiziane. Qualcosa di analogo è accaduto a Sanaa Seif, arrestata il 20 giugno dalle Forze di Sicurezza all'interno della stazione di polizia dove si era recata per denunciare un'aggressione subita da lei e dai suoi familiari fuori dal carcere di Tora, dove si era recati per visitare il fratello di lei Alaa Abdel Fattah.

Ad oggi, sono moltissime le attiviste, le giornaliste, le ricercatrici e le difensore dei diritti umani detenute in carcere in Egitto. Ricordiamo, fra tutti coloro che sono stati arrestati e detenuti arbitrariamente nel corso dell'ultimo anno, Solafa Magdy, Laila e Adhaf Soueif, Mona Seif Abdel Fattah, Rabab al-Mahdi, Aya Kamal, Noha Kamal Ahmed, Marwa Arafa, Khouloud Said, Shaimaa Samy, Lina Atallah, Nora Younis, Esraa Abdel-Fattah.

Nel contesto carcerario, le donne sono sottoposte a trattamenti crudeli, inumani e degradanti che ne ledono la dignità e la salute psico-fisica. La loro salute è messa a repentaglio a causa della pessima qualità del cibo, dalle condizioni igienico-sanitarie disastrose, e dalle forme di tortura che vengono loro inflitte nel corso della detenzione. Fra i casi più recenti documentati, ci sono quelli della 39enne Aisha al-Shater, legata alla Fratellanza Musulmana, cui sono state negate le cure mediche per l'anemia aplastica e l'insufficienza del midollo osseo, di cui soffre, per almeno 2 anni, fra il 2017 e il 2019; e le violenze subite dall'attivista trans Malak el-Khashir, detenuta in una struttura carceraria maschile nel 2019.

Le violenze sessuali contro le detenute sono tristemente diffuse, e colpiscono in maniera sproporzionata le donne e le ragazze LGBT+, comprese quelle minorenni, come denunciato dalla stessa Malak el-Khashir e dalla recentemente scomparsa Sara Higazy.

Anche al di fuori del sistema carcerario, tuttavia, la libertà delle donne e delle ragazze è seriamente compromessa da politiche e pratiche fortemente discriminatorie e repressive.

L'accesso all'istruzione viene precluso a molte bambine e ragazze a causa della povertà e di altri fattori di marginalizzazione sociale; le pratiche delle mutilazioni genitali femminili (FGM) continuano quasi indisturbate, nonostante siano state messe al bando già nel 2007 e ulteriori provvedimenti legislativi a tutela delle minori siano stati varati nel 2016, senza che si riscontrino interventi, da parte del governo, per eliminare tali pratiche nel concreto. Secondo un parere della Convenzione International per l'Eliminazione della Discriminazione Contro le Donne (CEDAW) del 1992, lo Stato egiziano è da ritenersi responsabile di queste violazioni dei diritti fondamentali di donne e bambine, alla luce del suo mancato impegno per la realizzazione e la tutela dei loro diritti.

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