Attualmente è detenuto in custodia preventiva relativamente al caso n.65/2021, nel quale è accusato di aver
pubblicato notizie false, avere mal utilizzato i social media e di aver collaborato con una organizzazione terroristica.
Mostafa è stato arrestato il 28 febbraio del 2018 e imputato nel caso 480/2018, conosciuto anche come il "Caso della canzone Balha", un pezzo musicale satirico del cantante egiziano Ramy Essam.
Alla prova dei fatti, Mostafa aveva collaborato in un'unica occasione con il cantante, tre anni prima della pubblicazione della canzone Balha, quando si era occupato del processo di verifica della pagina Facebook di Ramy Essam.
All'inizio di giugno 2020, un mese dopo la morte in carcere di Shady Habash, regista del videoclip della canzone incriminata, Mostafa viene assolto in relazione al caso n.480/2018. Viene firmato inoltre il suo ordine di rilascio, ma quel rilascio non sarà mai eseguito perché nello stesso giorno Mostafa viene interrogato presso la Procura per la sicurezza nazionale e incriminato per i capi d'accusa da cui è stato appena scagionato in un nuovo caso, il n.730/2020.
Poco tempo dopo viene assolto anche in relazione a questo secondo caso, ma come la prima volta, invece di essere rilasciato si trova imputato in un terzo procedimento, con le stesse identiche accuse. Il nuovo caso è il n.65/2021.
Nella vicenda giudiziaria che riguarda Mostafa troviamo ben due episodi di tadweer, il meccanismo di riciclaggio delle accuse attraverso il quale una stessa persona viene arrestata anche due o tre volte per le medesime accuse. Mostafa Gamal è stato incriminato e assolto per le accuse di diffusione di notizie false, cattivo uso dei social media e appartenenza a un'organizzazione terroristica per due volte, ma rimane tuttora in custodia in attesa di un nuovo processo in cui gli si contestano le stesse accuse, per la terza volta.
A differenza di altri casi in cui le autorità giudiziarie ricorrono al tadweer o alla detenzione arbitraria di una persona, Mostafa non è un prigioniero politico.
Non è detenuto per ragioni di opinione, non è un esponente politico né un attivista, e non è coinvolto in alcun ambito associativo.
A differenza di molti esponenti della società civile che il regime cerca di mettere a tacere per impedire che continuino a denunciare gli abusi compiuti dalle autorità, Mostafa è un giovane lavoratore senza alcun coinvolgimento politico che è stato preso di mira dalle autorità senza un motivo apparente.
Il suo caso dimostra ancora una volta che nell'Egitto di el-Sisi nessuno è al sicuro, nemmeno coloro che non partecipano al dissenso.
Mostafa però ha anche molto in comune con gli altri 60mila prigionieri nelle carceri del regime militare egiziano. Come tutti e tutte loro, è detenuto arbitrariamente, in condizioni degradanti, e senza garanzie di poter far valere i propri diritti né prove a suo carico che giustifichino la detenzione.